Il Parlamento degli schiavi
L’Italia si è incastrata in una secca dalla quale non può uscire. Lo sguardo si abbassa fino a Berlusconi, per ricordare la sua grave e immensa responsabilità. Ma solo per ricordarla. Finora non siamo riusciti a fare altro. Lo sguardo si alza verso il Presidente della Repubblica con la richiesta, a momenti affannata, che “faccia qualcosa”, pur sapendo benissimo che la Costituzione (che non aveva previsto una maggioranza parlamentare a pagamento, voto per voto) non lo consente. Ci restano oggi, le sue parole dure contro la Lega padana, il piccolo-grande complice di Berlusconi. Lo sguardo irato e angosciato dei cittadini si è fissato allora sul Parlamento. È subito divampata una polemica carica di ragioni e di prove, su sprechi, privilegi e spese fuori misura. Tutti si devono rendere conto che è un problema (prima ancora, un fatto) che non potrà mai più essere accantonato. Eppure non è per questo che la macchina del Parlamento sta bloccando la nave Italia. Direte che il Parlamento è pigro e assenteista. Non è vero. Purtroppo sta lavorando. Tutto il suo lavoro è al servizio del governo e della sua pretesa rovinosa di restare governo, una sorta di ideologia rappresentata abbastanza bene, in una recente dichiarazione che potremmo chiamare “il Manifesto Lavitola” (diretta del Tg la7 la sera del 28 settembre) ovvero passare avanti e indietro, senza spiegazioni, grandi somme di danaro tra persone ricercate dalla giustizia. Il discredito è grande, come è grande il costo economico (praticamente incalcolabile) di quel discredito.
Nei giorni scorsi un importante giurista, Gustavo Zagrebelsky si è assunto il compito di dire perché il Parlamento, a cui spesso si fa riferimento come al luogo giusto per la vita democratica, sia adesso in Italia il luogo in cui ogni barlume di vita democratica si spegne, e anzi è il luogo e la ragione del blocco. Ecco il punto chiave del documento che Libertà e Giustizia presenterà a Milano il giorno 8 ottobre (già pubblicato dal Fatto il 30 settembre): “Un Parlamento che, di fronte a fatti sotto ogni punto di vista ingiustificabili, alla manifesta incapacità di condurre il Paese in spirito di concordia fuori dalla presente crisi economica e sociale, al discredito dell’Italia presso altre nazioni, non revoca la fiducia a questo governo mentre il Paese è in subbuglio e in sofferenza nelle sue parti più deboli, non è forse esso stesso la prova che il rapporto di rappresentanza si è spezzato? (…) Ci pare anche gravemente offensivo del comune senso del pudore politico accecarsi di fronte alla lampante verità dei fatti e trasformare il vero in falso e il falso in vero, gettando nel discredito le istituzioni parlamentari e, così, l’intera democrazia”. Ho citato questa dichiarazione estrema perché è la descrizione accurata di un giorno, ogni giorno, al Parlamento italiano. Per esempio , il giorno in cui la Camera dei Deputati ha votato a maggioranza, e con il sistema del “voto di fiducia” una circostanza falsa e palesemente tale, ovvero la dichiarazione del capo del Governo italiano di essere certo che una prostituta minorenne fermata in strada a Milano fosse la nipote del presidente egiziano Mubarak.
Un simile dileggio dell’istituzione dovrebbe portare rivolta in Parlamento, prima di tutto fra le file della maggioranza, se qualcuno dei suoi membri avesse un minimo di rispetto per se stessa o se stesso. Ma, soprattutto dovrebbe portare rivolta nell’opposizione. Possiamo continuare ad essere soci regolari e partecipi di un club che vuole tenacemente avere nei suoi ranghi Saverio Romano e i suoi legami mafiosi, lo proclama in modo solenne con un voto di fiducia a cui partecipa tutta la Lega Nord (benché non sia in gioco la tenuta del governo, ma il prestigio della Camera dei Deputati) e poi ci fa assistere all’abbraccio fra il rinviato a giudizio per concorso esterno al reato di mafia e il presidente del Consiglio italiano? Possiamo passare avanti, sia pure con amarezza, a lavorare per altri “provvedimenti” di questo governo-gang che attendono di essere votati (cosa che faremo con assiduità e cura, credendo che sia quello il nostro dovere e il legame con i cittadini)? Possiamo dedicarci a migliorare qua e là, con giudiziosi emendamenti in Commissione Giustizia, la nuova legge sulle intercettazioni che i nostri elettori chiamano, fin dall’inizio, “legge bavaglio”?
Dove, da chi abbiamo imparato che un’opposizione segue comunque l’ordine dei lavori stabilito dal governo, e che il governo può sempre imporre la sua volontà alla maggioranza succube? In onore o in omaggio o in ubbidienza a chi o che cosa noi dovremmo concorrere nella responsabilità di svilire l’istituzione cardine della democrazia? L’appello di Zagrebelsky indica con esattezza il punto cruciale del confronto fra sottomissione e liberazione. Posso testimoniare che, dentro il Parlamento, è un punto di solitudine. È diffusa la credenza che un bravo parlamentare non si volta mai indietro a guardare i suoi elettori. Il bravo parlamentare sta al gioco, per quanto iniquo e devastante, un gioco totalmente manovrato da fuori del Parlamento e distruttivo per la Repubblica.
Possibile che si debba lavorare di buona lena insieme con Milanese, con Saverio Romano, con mafia e camorra, con massoneria e gruppi d’affari P3 e P4, con gli svariati e fantasiosi reati compiuti, e in via di compimento,del presidente del consiglio? L’appello di Zagrebelsky dice in modo esplicito e solenne, con la garanzia della persona e del giurista, che una spaccatura grave e profonda divide in modo irreparabile (finché dura la causa) il Paese e i suoi attoniti cittadini dalla istituzione Parlamento. Chiedo con angoscia e rispetto ai mie colleghi della Camera dei Deputati: siamo sicuri che la cosa giusta sia continuare a “lavorare insieme”, tentando di migliorare, emendare e comunque partecipare a vita e avventure di chi ha infettato alla fonte tutto il lavoro e l’esistenza stessa del Parlamento?
Il Fatto Quotidiano, 2 ottobre 2011
domenica 2 ottobre 2011
dal fatto quotidiano
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